Tare esclusivo: "La mia Lazio a nudo"

Primatista assoluto di sopravvivenza a Claudio Lotito, Igli Tare si apre come mai in passato. Diciotto anni con – e contro e di nuovo con – il proprietario presidente senatore virologo avvocato esperto di tutto non sono uno scherzo, costituiscono un record difficilmente battibile. «Tre stagioni da giocatore e il resto da direttore» precisa «ho il rimpianto di non avere avuto, quando giocavo, la testa del manager, quella che fa capire tanto di più e, soprattutto, mostra le cose che ti sei perduto… Lotito è una grande mente, ha una determinazione e una forza di volontà pazzesche. Sono il suo pregio, ma anche il maggior difetto. Io gli sono grato per tutte le cose che ho imparato. Questa lunga storia è il mio orgoglio. Alla Lazio ho dato tutto me stesso, per lei ho addirittura rischiato la vita».

Dici sul serio?
«Ho avuto grossi problemi di salute, anni fa. I medici mi suggerirono di allontanarmi, di pensare a me stesso e a salvare la pelle. Niente, non sono mai uscito, non ho mai voluto staccare. Per fortuna tutto si è risolto nel migliore dei modi, la società mi è stata vicina».

Lasciarla a inizio giugno, una tua scelta?
«Mia, di Lotito, che importa? Hanno detto che mi aveva mandato via, bugie. Io ho preso la decisione e lui l’ha condivisa, gli andava bene di cambiare percorso, interlocutore e fare altro. Un anno fa, a inizio stagione, gli anticipai che a giugno avrei chiuso, che quella appena cominciata sarebbe stata l’ultima. Chiesi solo di uscire con onore, con dignità. Così è stato. Come per un matrimonio che si consuma naturalmente».

Si parlò anche di scazzi con Sarri.
«Niente di più falso. Sarri non è mai stato un problema, ma una soluzione. Il suo carattere non era una novità. Mi ero informato prima di prenderlo, sapevo tanto e volevo che fosse lui ad allenare la Lazio. Prima della penultima partita dello scorso campionato, a Empoli, volle parlarmi. Siamo stati insieme tre, quattro ore. Ha usato parole di miele, di cuore, spero, mi ha riconosciuto un sacco di meriti».

Giorni fa ha detto di voler chiudere alla Lazio. Pensi che sia possibile?
«Conoscendolo, dico di no. Tuttavia lo auguro alla Lazio e a Maurizio. Soprattutto alla Lazio».

Escludendo la breve gestione Ballardini… (Mi interrompe) «Uno dei momenti più duri, in quel periodo eravamo due contro tutti, io e il presidente. E devo dire che diede il meglio di sé».

Ripeto: escludendo quel periodo, hai lavorato con cinque allenatori. Giochiamo all’aggettivo o all’avverbio da associare a ognuno di loro. Questa me la insegnò Marino Bartoletti. Vado: Reja.
«Vecchio lupo».

Capito tutto: puoi andare a braccio. Petkovic.
«Persona onesta intellettualmente».

La parola onestà ricorre spesso nelle tue risposte.
«Conoscere un uomo onesto è un’esperienza entusiasmante»

Pioli.
«Grande uomo e grande allenatore. Ho avuto modo di apprezzarne il carattere, le capacità tecniche, l’onestà, appunto, la qualità umana. Stefano è sincero. Mi dispiacque l’esonero il secondo anno, lui stesso ha ammesso che è stato il dolore professionale più forte, gli piacevano l’ambiente e il progetto, un grande progetto. Per sua stessa ammissione, soffrì di meno quando fu costretto a lasciare la Fiorentina e l’Inter».

L’eventuale affiancamento di Ibrahimovic potrebbe giovargli?
«Stefano ha bisogno di confrontarsi con sincerità, senza retropensieri».

Inzaghi.
«Mio fratello. Diciotto, o forse vent’anni insieme. Credo che le nostre mogli ci conoscano meno bene. Un rapporto profondo, il nostro. Simone lo trovai nel 2009 al campo, allenava i Giovanissimi nazionali, pensai che avrebbe fatto una splendida carriera e lo dissi anche. È un predestinato».

Cinque scelte tue.
«Decidevamo insieme, io e Lotito. Ovviamente erano mie le prime segnalazioni».

Hai portato decine di giocatori: quali hanno soddisfatto le aspettative?
«Felipe Anderson, Milinkovic-Savic, Luis Alberto, Lucas Leiva, Klose, Lulic. Ma anche Brocchi, il mio primo acquisto. Sono molto legato a Cristian, da affetto autentico, un uomo onesto, perbene».

Ti hanno rimproverato Muriqi, Vavro.
«Si sottovaluta la complessità dell’inserimento di uno straniero in una nuova dimensione di squadra, alcuni faticano più di altri. Spesso è una questione di dettagli. Ma voglio dirti una cosa: Vavro e Muriqi hanno subìto il calcio di Sarri, ma prima di andare via l’hanno voluto salutare e abbracciare. Ricordo che Maurizio mi disse: “Sono stato a Napoli, ad alcuni ho dato la vita, mai nessuno mi ha rispettato come questi due ragazzi”».

Stavo dimenticando Caicedo.
«Io sono testardo, quando credo in un giocatore non mollo di un centimetro. Inzaghi mi diede del matto, quando lo vide, eppure ci ha tanto aiutato».

Ti è mancato il colpo Giroud.
«Era nostro, solo che all’ultimo il Chelsea si mise di traverso e non lo lasciò partire. Le tentai tutte. Fu solo questo il motivo. Ragazzo eccezionale, Olivier. Quell’anno avevamo un grande attacco con Immobile, Correa e Caicedo».

A proposito di Immobile, non se la sta passando bene.
«Quando stabilì il record di gol, gli dissi “Ciro, ti renderai conto di quello che hai fatto soltanto quando tutto sarà finito”. Lui è il più grande cannoniere della storia della Lazio. La sua umiltà è forza e insieme debolezza. Ha bisogno di sentire quotidianamente la fiducia di chi gli sta intorno. Qualche anno fa visse un periodo simile, io lo caricavo con una battuta, sempre la stessa: “chiama Ciro e manda a casa suo cugino”. Il centravanti della Lazio è un ruolo pesante, ma ho una stima illimitata nei suoi confronti, solo la sua onestà gli farà capire quando sarà il momento di chiudere».

Il tuo futuro è ancora in Italia?
«Sono cittadino del mondo, aperto a tutto. L’Italia è casa, a Roma io, la famiglia e i miei figli continueremo a vivere».

Misurandoti ripetutamente con l’altra parte della città.
(Ride). «La Roma ha una storia importante e una tifoseria pazzesca, ma mai bella come quella laziale. La nostra coreografia nell’ultimo derby era emozionante».

Mourinho alla Roma te lo saresti mai aspettato?
«Del calcio non mi sorprende più niente e nessuno. Mourinho è un bene, il numero uno della comunicazione mondiale. Nessuno sa gestire i momenti, le situazioni di calcio, come lui».

Mou e Allegri sono criticatissimi per la qualità del gioco che esprimono.
«La loro storia è inattaccabile, parlano i risultati. Contano i primi posti, dei secondi non si ricorda mai nessuno».

La verità: ti sei mai negato a Lotito? Al telefono, intendo: ha mai trovato occupato?
«Mi chiamava alle 2 di notte. “Stai dormendo?”. È successo qualcosa? rispondevo, e lui parlava per delle mezze ore».

Da solo.
«Quasi».

In diciotto anni quante volte sei stato vicino ad andartene?
«Sono state più le litigate che i momenti di pace. Ma lui ha una forza straordinaria, dimentica nel giro di dieci minuti».

Si diceva che foste in affari. Soci, insomma.
«So anche chi metteva in giro queste porcherie. Io e Lotito non abbiamo mai avuto società, mai affari insieme, nessun business. Dicevano dell’Albania. L’unico suo rapporto con l’Albania ha a che fare con il compleanno dei miei quarant’anni. Organizzai una festa a Tirana e lo invitai. Lui non poté venire perché aveva un impegno di lavoro, ma per rispetto si presentò il giorno dopo».

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